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LE PRIME TESI DI LAUREA SUL CASO BIBBIANO

  • Immagine del redattore: Claudio Foti
    Claudio Foti
  • 26 giu
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 27 giu


 

Cominciano ad essere elaborate le prime tesi di laurea e le prime ricerche sul caso Bibbiano.    Mi sono state formulate diverse domande da un laureanda che studia la comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse. Qui le prime due domande e le due risposte.

 

1)     Nella rappresentazione mediatica della vicenda Bibbiano si può dire che lei sia stato il grande protagonista, nonostante nel contesto processuale il suo ruolo e i capi d’accusa a lei imputati siano stati senz’altro minori. Lei come si è spiegato questo accanimento in particolare verso la sua figura?

 

La costruzione di qualsiasi narrazione che  incide nella coscienza sociale segue delle regole. La narrazione, anche quella falsa, ha una sua struttura, come ce l’ha la fiaba nell’analisi di Propp.  Il racconto che si è costruito sull’inchiesta giudiziaria “Angeli e demoni” non rappresenta un’eccezione.

Il copione creava dal niente il gruppo dei cattivi, scegliendoli fra gli operatori di un servizio pubblico e fra gli psicoterapeuti di un privato sociale, impegnati nell’ascolto, nell’assistenza e nella cura dei minori e fra un gruppo di amministratori che lavoravano per progetti di tutela sociale. C’era necessità di creare la figura del boss, del “guru”, del capo dei demoni, dei cattivi.

 Non esiste un gruppo di mostri senza un capo. Io sono stato scelto per questo ruolo. Ero la figura più nota e potevo dunque essere considerato il capo della banda. Sin dalla denominazione dell’inchiesta “Angeli e demoni”, c’è un teorema da dimostrare.


C’era un’inchiesta che non voleva indagare i fatti, voleva dimostrare una verità che era già scritta. C’era un gruppo di professionisti considerati “angeli”, in quanto godevano di un riconoscimento sociale nelle istituzioni sociali e giudiziarie, c’era un gruppo di assistenti sociali e di psicoterapeuti che fino al giorno prima aveva fra l’altro contribuito a fermare un’attività di prostituzione minorile…  C’era un’inchiesta che non voleve indagare i fatti, voleva dimostrare una verità che era già scritta. C’era un gruppo di professionisti considerati “angeli”,  in quanto godevano di un riconoscimento nelle istituzioni sociali e giudiziarie, c’era  un gruppo di assistenti sociali e di psicoterapeuti che fino al giorno prima aveva fra l’altro contribuito a fermare un’attività di prostituzione minorile…  in base all’iniziativa giudiziaria della Procura di Reggio questo gruppo si trasforma improvvisamente in un gruppo di cattivi, di “ladri di bambini”, di gestori di affidi illeciti, di torturatori che facevano carte false e che ricorrevano a torture, pur di far confessare ai bambini abusi e  violenze inesistenti.

 

Anche la narrazione cristiana degli angeli che cadono e che diventano demoni ha sentito la necessità di individuare un capo, un Lucifero. Nella vicenda di Bibbiano divento in qualche modo una sorta di Lucifero a cui si possono attribuire tutte le colpe possibili ed immaginabili. I miei capi di imputazione per i quali sono stato processato risultano marginali rispetto all’impianto dell’inchiesta, non toccano la questione degli affidi illeciti. Probabilmente vengo forzatamente accostato ai reati più gravi forse per fare notizia, forse perché ero una figura professionale che in modo incisivo in tutta Italia aveva portato avanti intensamente e capillarmente un’attività di cura, di formazione, con iniziative e culturali e con pubblicazioni sul fronte conflittuale della prevenzione e del contrasto agli abusi sessuali sui bambini: dunque bisognava cercare di colpirmi ed affondarmi.

 

Un dato per certi versi incredibile, ma significativo di cosa può essere una narrazione mediatica che si sviluppa e si mantiene in vita per anni al di fuori di qualsiasi riferimento alla dimensione dei fatti è la qualifica che mi viene insistentemente attribuita da infinite parti di “boss degli affidi”, di capo di una cupola che avrebbe gestito gli affidamenti illeciti: un’etichetta che risulta martellante nei primi sei mesi dagli arresti e che regge comunque  almeno per due anni.

 

Il fatto sconcertante è che io a Bibbiano non ho mai deciso, mai seguito, mai discusso  un solo affidamento, né come psicologo, né come supervisore. Ero esterno al servizio sociale e svolgevo la funzione di psicoterapeuta per conto di un centro di privato sociale, il Centro Studi Hansel e Gretel che si occupava della cura psicologica di alcuni bambini e di alcuni adolescenti. Quando gli psicoterapeuti del Centro Studi Hansel e Gretel hanno iniziato le loro psicoterapie gli affidi erano già stati deliberati e gestiti dal Servizio sociale e dal Tribunale per i minorenni senza alcun contributo di decisione o di verifica da parte nostra. Ciò nonostante – incredibile, ma vero -  nei servizi giornalistici, in televisione e in rete io sono stato costantemente designato come “boss degli affidi”.

 

2)     Nel tribunale mediatico lei è stato rapidamente ritenuto colpevole, anche per capi d’accusa mai formalmente contestati. In sede giudiziaria, invece, è stato assolto in Corte d’Appello e in Cassazione. Ritiene che alla sua assoluzione sia stata riservata la stessa risonanza? Crede che nel tribunale mediatico esista davvero la possibilità di un’assoluzione?


Ovviamente no. Nella nostra società sempre più condizionata dai media le condanne del processo mediatico sono almeno venti volte più incisive di quelle del processo giudiziario. Il processo mediatico si svolge senza diritto di replica o di contraddittorio, non consente appello, penetra nella coscienza delle persone con una scarsissima possibilità di riparazione da parte delle persone condannate nel tribunale mediatico, a meno che non dispongano di un potere politico (penso al caso di Matteo Renzi) o non riescano a recuperare un qualche potere mediatico. Nel mio caso sono riuscito a portare avanti alcune cause contro alcuni giornalisti per le diffamazioni subite, ma la gogna mediatica che ho subito è stata talmente ampia e prolungata che la mia reazione è risultata minima e non ha certo potuto contrastare gli effetti complessivi  di un danno d’immagine profondo e per molti versi indelebile.

 

Dopo due assoluzioni complete e definitive in Corte d’Appello e in Cassazione (rispettivamente nel 2023 e nel 2024) la mia attività di formatore e di supervisore (per fortuna non quella di psicoterapeuta) stenta a ripartire. Magari mi capita di prendere accordi con gruppi di assistenti sociali, educatori, psicologi per attività di formazione e di supervisione ma quando si tratta di ottenere l’approvazione al progetto da parte dei vertici istituzionali capita qualcosa per cui la formazione o la supervisione  non decollano.

 

Si aggiunga inoltre l’esempio del Centro Studi Hansel e Gretel, una struttura  che ho costituito e che ha svolto in tutta Italia per 30 anni un’attività consistente in psicoterapie, consulenze, formazioni, seminari, master e varie attività culturali dalla parte dell’infanzia.  In quanto associazione, il Centro Studi non è stato coinvolto dall’inchiesta giudiziaria, non ha ricevuto alcun capo d’imputazione dalla Procura,  ma ha dovuto chiudere perché sepolto dal fango mediatico: è il processo mediatico che l’ha condannato come associazione,    bloccando qualsiasi possibilità di trovare ulteriore lavoro e di proseguire la propria attività.



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