In un’infinità di sedute ho ascoltato e sostenuto in psicoterapia la rabbia dei bambini contro i loro abusanti e la rabbia delle donne contro i loro violentatori. Ho cercato di comprendere con empatia anche i livelli più intensi di contrapposizione e perfino il desiderio di vendetta, espresso dalle vittime degli abusi e degli stupri contro gli autori delle violenze, contro gli autori dei comportamenti di sopraffazione e di violenza.
Ho cercato di aiutare l’esplicitazione dei legittimi vissuti di avversione dei sopravvissuti e delle sopravvissute che sentivano la necessità di reagire alle manipolazioni, ai maltrattamenti, alla strumentalizzazione sessuale che avevano subito da parte degli abusanti, dei perversi e degli uomini violenti.
Ma ho anche cercato di favorire con i tempi necessari, spesso tempi lunghi e lunghissimi, l’elaborazione e la trasformazione in qualcos’altro della rabbia, dell’odio e del rancore, perché questi vissuti, se diventano stagnanti, possono far più male alle vittime che non ai loro aguzzini.
So quanto è benefico accettare e validare in terapia la furente rabbia delle vittime e quanto è importante la chiarezza con cui si deve riconoscere dal punto di vista giuridico e istituzionale il fenomeno dell’abuso sessuale sui bambini, il maltrattamento all’infanzia in tutte le sue forme, la violenza domestica sulle donne e la violenza assistita, ma la pretesa di risolvere il fenomeno del femminicidio ricorrendo all’illusione forcaiola dell’escalation delle pene si sembra misura propagandistica e inefficace.
Forse c’è qualcosa di buono nel recente provvedimento del governo. Ma - per prevenire la violenza contro le donne- la scelta di alimentare la cultura dell’ergastolo - che equivale per tanti aspetti alla pena di morte - risponde ad una logica simmetrica rispetto all’escalation della violenza a cui assistiamo.
Una maggiore garanzia di sicurezza richiederebbe qualcos’altro. Per es. introdurre l’intelligenza emotiva nelle scuole per insegnare ai ragazzi e alle ragazze a comunicare le emozioni e a gestire gli impulsi, a sviluppare l’autoconsapevolezza e l’autocontrollo, a considerare la libertà emotiva di ogni individuo, a rispettare tutte le emozioni e le emozioni di tutti, come proponevo qualche mese fa in un articolo su La Stampa.
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