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BIBBIANO: UN PROCESSO PATOLOGICO E ABNORME

  • Immagine del redattore: Claudio Foti
    Claudio Foti
  • 26 mag
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 27 mag




(“Dalla Gazzetta di Reggio, “L’arringa della difesa di Anghinolfi: un processo patologico ed abnorme”, di Ambra Prati).


Nell’ultima udienza del processo sugli affidi a Reggio Emilia, Mazza ha fatto qualcosa che da tempo non si vedeva. Ha messo in fila i fatti, ma prima ancora ha preso per mano il diritto e gli ha chiesto: “Ti ricordi chi sei?”. Il suo intervento è cominciato con un racconto che ha lasciato l’aula sospesa.

 

«Due ore fa i Carabinieri si sono presentati nel mio studio legale per notificarmi un avviso di chiusura indagini», ha detto. Un fatto inusuale, quasi teatrale, ma niente affatto teatrale è stata la sua reazione. «Non nascondo che avere i Carabinieri alla porta dello studio quando si sta per discutere un processo come questo è fonte di una certa emozione… aggiuntiva. Non lo auguro a nessuno», ha detto con voce ferma. Un’emozione trattenuta, composta, ma visibile negli occhi e nella tensione delle mani.

 

E l’aula è scattata in piedi. Non per deferenza, ma per solidarietà. Era in piedi l’avvocato di parte civile, tutto il pubblico, ma soprattutto i componenti del Direttivo della Camera penale di Reggio Emilia con il suo presidente, l’avvocato Scarcella in toga.

 

Non si era mai visto un difensore sotto indagine mentre ancora discute la difesa del proprio assistito. Eppure Mazza e Ognibene sono rimasti. Non per orgoglio, ma per dovere. «Abbiamo scelto di restare per garantire il diritto di difesa. Perché le accuse sono infondate. Per rispetto del tribunale, dei colleghi, di un processo che dura da tre anni», ha spiegato.

 

“Questo è un processo patologico”. Mazza ha ripetuto la parola venti volte. E lo ha spiegato, punto per punto.

 

Patologica l’eco mediatica: “Ho conosciuto la mia assistita dai telegiornali prima che dai fascicoli”. Patologica la strumentalizzazione politica, culminata in uno slogan elettorale (‘Parlateci di Bibbiano’) e nell’intervento in Commisione parlamentare del Pubblico Ministero prima dell’inizio del dibattimento.

 

Ma la vera anomalia, ha spiegato Mazza, sta nella struttura del processo: un maxi-procedimento costruito su micro-imputazioni, con una moltiplicazione abnorme dei capi di accusa – 65 solo per Anghinolfi – e una sproporzione evidente tra la portata dell’impianto accusatorio e gli otto casi contestati su 800 affidamenti complessivi. “È un abuso del processo” ha detto.

 

Patologica l’omissione di documenti, l’assenza di contraddittorio, le modalità con cui la polizia giudiziaria si è avvicinata agli indagati senza dir loro che lo erano, violando ogni principio di correttezza. Patologica, infine, l’assenza di una visione oggettiva: «Il pubblico ministero ha adottato un approccio ideologico, rimanendo dentro le ombre disegnate dalla polizia giudiziaria», ha detto Mazza, evocando Platone non per erudizione, ma per necessità.

 

Poi, con lucidità accademica, ha smontato il nodo del “falso ideologico”, su cui poggia l’intera impalcatura accusatoria: una deriva giuridica che rischia di trasformare ogni atto contestato in una catena automatica di reati.

 

Alla fine, si è avuta la sensazione che qualcosa si sia rotto. Ma anche che qualcosa – la dignità della difesa, la serietà del diritto, il senso del limite – abbia resistito. In piedi. Anche sotto accusa.

 

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Il processo sui fatti di Bibbiano in corso a Reggio Emilia  contro 14 imputati - dove si stanno svolgendo  le ultime arringhe difensive - continua a mostrare colpi di scena e a fare sorgere inquietanti interrogativi.

 

I due avvocati difensori, Roberto Mazza e Rossella Ognibene,   del principale imputato alla sbarra, Federica Anghinolfi, sono stati raggiunti poco prima del loro intervento difensivo in aula  dall’avviso delle conclusione delle indagini a loro carico per il reato di calunnia, un reato  che avrebbero commesso ai danni della PM e delle consulenti del PM.

 

Qualcuno ha parlato della nascita di un nuovo reato: il delitto di difesa legale.

Dopo il “delitto di ascolto e di cura dei bambini“ che è stato contestato agli operatori alla sbarra (psicoterapeuti, assistenti sociali, genitori affidatari) s’intravede un nuovo  delitto di difesa a carico di due avvOcati.

 

Infatti il procedimento penale per calunnia ai danni dei due avvocati colpisce direttamente  il diritto della difesa. Secondo Mazza si tratta di un atto oggettivamente «in grado di limitare la libertà di autodeterminazione dei difensori e quindi di incidere su quel diritto fondamentale che la Costituzione vorrebbe inviolabile».

 

I due avvocati hanno deciso di denunciare pubblicamente la vicenda e di non abbandonare il ruolo di difensori: «Abbiamo scelto di rimanere qui in udienza a svolgere il nostro ministero innanzitutto per garantire alla nostra assistita la miglior difesa». Mantengono il loro impegno e la loro  «serenità» che deriva loro «dalla consapevolezza della manifesta infondatezza dell’accusa».

 

Nel corso del processo tutti gli avvocati presenti in aula, anche quelli delle parti civili,  hanno indossato la toga in segno di solidarietà verso l’avvocato Mazza e l’avvocato Rossella Ognibene.

 

E’ stata presentata dall’on. Costa,  deputato di Forza Italia un’interrogazione parlamentare al ministro Nordio, dove si afferma che la tempistica del procedimento contro i due legali «costituisce un atto oggettivamente idoneo a comprimere la libera e piena espressione del mandato difensivo, in violazione ad ogni principio fondante lo Stato diritto».

 

A Bibbiano nasce il “delitto di difesa”, Il dubbio, di Simona Musco,

 

Da REGGIO ON LINE. Mazza e Ognibene indagati. La solidarietà degli avvocati.

  



 

 

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