RECUPERARE LA MEMORIA TRAUMATICA, RECUPERARE LA DIGNITA’
- Claudio Foti

- 7 ago
- Tempo di lettura: 2 min
Giovanni ricostruisce in terapia gli anni della propria infanzia.
Poi un giorno affiora un ricordo di quello che per lui da ragazzino è stato il tennis.
«Avevo la faccia silenziata dalle percosse, deformata dalla paura. Ma il mio viso di bambino, nonostante tutto, parlava: mostrava i segni degli schiaffi di mio padree comunicava con la sua espressione umiliazione ed impotenza. Ancora di più la mia rabbia ammutoliva … avevo dieci anni, a casa ero schiacciato dalla brutalità di mio padre e dall’inettitudine complice di mia madre. Facevo anche fatica ad uscire di casa e a stento ero riuscito a recarmi alla lezione di tennis, perché mi ero abituato giorno dopo giorno a tenere soffocato dentro di me il dolore e a comprimere la mia voglia di vivere e di giocare. L’istruttrice di tennis si era accorta dei segni sul mio volto, si era spaventata ed era andata da un collega che probabilmente era il capo. “Cosa facciamo?” l’avevo sentita dire al suo collega. Avrebbe forse voluto fare qualcosa. Lui le rispose: “Cosa c’entriamo noi? Lascia perdere!” Così lei accettò l’indicazione del suo capo.”
La scelta dei miei istruttori fu quella di far finta di niente e di evitare grane o possibili conflitti con la famiglia. La decisione di dimenticare la mia faccia con i segni delle botte aveva prevalso sulla sensibilità iniziale della maestra di tennis».
Giovanni recupera il ricordo in un processo di rielaborazione del suo passato dove recupera passo dopo passo la propria memoria traumatica, la propria dignità e di conseguenza la prorpria energia vitale.
La violenza intrafamiliare può imporsi con conseguenze deleterie sui bambini che ne sono vittima anche grazie all’indifferenza, all’opportunismo, all’evitamento di tanta parte della comunità sociale.
A 30 anni da quel momento della sua infanzia il mio paziente racconta la propria vicenda con lucidità, ma con una sofferenza ancora trattenuta, ancora soffocata nel cuore. Ho sempre una grande ammirazione per i pazienti che sono riusciti non solo a sopravvivere ma anche a sviluppare nella vita risorse di salute e capacità di amare, talvolta, come nel caso di Giovanni, costruendo famiglie dove sono riusciti ad evitare la reiterazione del maltrattamento e a costruire relazioni positive con i figli.

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