IL RUOLO DELLO PSICOLOGO NEL COLLEGIO GIUDICANTE DEL TRUBUNALE PER I MINORENNI in G. Gullotta (a cura di), TRATTATO DI PSICOLOGIA GIUDIZIARIA NEL SISTEMA PENALE
- Claudio Foti
- 18 mar
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Claudio Foti
Giuffré editore, Milano, 1987, pp. 915-946.
Il mio contributo all’interno del Trattato curato da Guglielmo Gullotta parte dalla messa a fuoco delle origini istituzionali (1934) del giudice onorario chiamato ad affiancare il giudice togato nel collegio giudicante del Tribunale per i minorenni.
Le competenze richieste al giudice onorario risentono storicamente di una visione antropologica prenovecentesca, puntando ad un atteggiamento soggettivo, caritatevole e filantropico, di questa figura. Tale visione non prevedeva alcun riferimento all’equilibrio psichico del giudice, né alla necessità di una specifica competenza scientifica e neppure di una qualche rielaborazione dell’esperienza soggettiva e operativa prima e durante l’assunzione della responsabilità giudiziaria.
Vengono esaminate le modalità di rapporto possibile tra la figura del giudice togato e la figura del giudice laico:
a) la prima modalità, asimmetrica, è quella storicamente dominante che prevede una netta prevalenza del giudice di carriera ed una subalternità del giudice onorario;
b) la seconda modalità, che appartiene solo al campo del possibile, auspica all’opposto la superiore rilevanza del giudice laico;
c) la terza modalità comporta invece una pari dignità e un’interazione delle due figure e l’integrazione di sguardi, di punti di vista e saperi molto diversi tra loro.
Esiste il rischio dello strabismo perché psicologia e diritto sono occhi che guardano in modo divergente la realtà (la prima mira innanzitutto a comprendere, la seconda a contenere e regolare la devianza).
Ma il conflitto tra la scienza giuridica e quella dell’età evolutiva, tra l’investitura pubblica e la soggettività del minore, che sembra vissuto in modo contrapposto da due ruoli distinti si ripropone necessariamente dentro ciascun giudice, togato o laico che sia. Si apre la prospettiva di imparare a vedere da due occhi (visione binoculare), scoprendo una dimensione nuova e più accurata di profondità.
Sul piano teorico vengono approfondite due illusioni con cui confrontarsi nel giudizio penale verso il minorenne: a) l’illusione di una causalità lineare fra il comportamento dell’imputato e il reato; b) l’illusione della libertà e dell’autodeterminazione.
Per quanto riguarda il giudizio penale il giudice psicologo non può non affermare la sostanziale inconciliabilità tra la costrizione e l’intimidazione del carcere e l’evoluzione sana di un adolescente.
La prospettiva della depenalizzazione d’altra parte non deve significare abbandonare il ragazzo a se stesso, se si utilizzano istituti giuridici come la messa alla prova e adeguati interventi sociali esterni. Per quanto riguarda la prevenzione, il giudice esperto può fare parecchio, sensibilizzando sul fatto che il reato è il sintomo di una sofferenza non
affrontata per anni dalle istituzioni e che la criminalità giovanile non è influenza da un’escalation delle condanne. Per quanto riguarda la formazione occorre ricordare che un giudice che si presenta con vesti umane all’imputato non perde autorevolezza e riesce maggiormente ad aiutarlo a confrontarsi con il principio di realtà.
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