SIE editore, MONCALIERI, 2015
Spesso quelli che chiamiamo “cattivi” sono veramente cattivi. Violenti, perversi, socialmente pericolosi! Possiamo percepire con una valutazione adeguata la negatività e la violenza dei loro comportamenti. E’ indubbio che “i cattivi” (i genitori violenti, i pedofili, i sex offender…) possono mettere in atto comportamenti distruttivi, producendo un danno evolutivo incalcolabile nelle vittime (pensiamo agli esiti dei maltrattamenti e degli abusi infantili, tanto più rovinosi, quanto più precoci, duraturi e coinvolgenti risultano).
Occorre fermare l’onnipotenza e il senso di vulnerabilità dei “cattivi”: molte vite umane rischiano di essere profondamente colpite dalle loro azioni ed esserne danneggiate
per sempre. Per questo non bisogna mai dimenticare le vittime.
Ma d’altra parte non è interesse delle vittime, né della comunità sociale assumere atteggiamenti distruttivi e simmetrici nei confronti degli autori di violenza. In quanto esseri umani à sempre utile – dopo averli contrastati e fermati – cercare di recuperarli e curarli per quanto possibile.
Non si può dimenticare che la distinzione/contrapposizione tra buoni e cattivi affonda le sue origini nei processi mentali più arcaici dal punto di vista emotivo dell’essere umano. Spesso questa distinzione/contrapposizione può essere influenzata da un bisogno di stabilire in maniera rassicurante la frontiera fra bene e il male a nostro uso e consumo usando i meccanismi psichici della scissione e proiezione.
Tendiamo in altri termini a collocarci nel fronte del bene senza assumercci la nostra responsabilità senza vedere le parti “cattive” che portiamo con noi. Oppure tendiamo a collocare nel fronte del male i soggetti che ci disturbano, che ci inquietano, con cui facciamo fatica ad interagire.
.Così può diventare “cattivo” chi risulta diverso e fragile rispetto alla comunità sociale. E’ il caso dell’immigrato , ma anche, in qualche misura, del bambino irrequieto che fa fatica a frenare la propria aggressività e a rispettare le regole. Così diventa “cattivo” l’adulto problematico e sofferentre , il soggetto traumatizzato che tende ad essere stigmatizzato e psichiatrizzato… Così rischiano di diventare “cattivi a vita” le persone che si sono rese colpevoli di crimini o di violenze. Dobbiamo interrogarci dunque sulla psicoterapia degli autori di reato, sulle strategie di recupero dei detenuti e degli ex detenuti, sulla prevenzione delle carriere della devianza e della criminalità nei bambini di oggi e che si potranno manifestare negli adulti di domani.
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