Claudio Foti
in “Su la testa”, marzo 2024
Nella discussione che ha seguito la mobilitazione contro il femminicidio di Giulia Cecchettin molti intellettuali anche di orientamento progressista hanno storto il naso di fronte all’ipotesi che la cultura patriarcale possa contribuire alla genesi di questa forma estrema di violenza sulle donne.
E’ ovvio che la nostra società funziona in modo assai diverso dalla società patriarcale dei millenni passati e che la famiglia patriarcale di un tempo non esiste più, ma è altrettanto ovvio che siamo chiamati a fare i conti con le tracce pesantissime della cultura patriarcale.
Il linguaggio che moltiplica i termini con si allude ad atteggiamenti femminili sessualmente liberi evoca la pericolosità e l’immoralità del comportamento femminile ed esprime due cose: a) la preoccupazione patriarcale per la libertà che la donna può esercitare con il proprio corpo e con la propria sessualità; B) nel contempo il desiderio maschile di un rapporto oggettivante, mercificato ed eccitante con quel corpo e con quella sessualità;
Viene evidenziato il rapporto tra il potere e la violenza, riportando alcuni dati statistici che stracciano i veli della negazione della sopraffazione sulle donne, sotto forma di violenza domestica in famiglia e di molestie e ricatti sessuali sul lavoro.
Vengono esaminate le tracce della cultura patriarcale sui comportamenti educativi e relazionali verso i bambini e le pesanti conseguenze del maltrattamento all’infanzia e della violenza assistita sui bambini e sulla loro evoluzione.
La cultura patriarcale è ancora capace di condizionare giudici, psicologi ed operatori dell’area della tutela e della cura dei minori, portandoli fra l’altro
1. a non riconoscere che i padri violenti verso le compagne sono spesso in qualche modo violenti anche verso i figli;
2. a fraintendere la realtà delle dinamiche familiari interpretandole come conflittualità di coppia anche quando si tratta di situazioni di violenza domestica e di violenza assistita;
3. a esaltare la bigenitorialità come valore assoluto, trasformandola da risorsa potenziale a diritto che può essere esigito da parte dei padri indipendentemente dall’ascolto dei figli e dalla possibile presenza di un maltrattamento in famiglia;
4. costruire schemi diagnostici ed interpretativi per accusare le madri di manipolare e di alienare i figli nei contenziosi giudiziari per l’affidamento dei figli e per impedire che questi ultimi vengano ascoltati in modo approfondito sui loro vissuti.
Per riconoscere le tracce della cultura patriarcale occorre essere disponibili a scendere dal cielo dell’ideologia, dalla retorica sull’emancipazione della donna e sul rispetto dell’infanzia, ad un’analisi più sofferta e drammatica delle relazioni conflittuali tra i sessi e
le generazioni. E’ certamente più comodo affermare, come è stato fatto da molti recentemente, che con il femminicidio il patriarcato non c’entra nulla.
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