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IL PROCESSO AGLI ODIATORI DI CARLETTI: TRE STRANEZZE

Immagine del redattore: Claudio FotiClaudio Foti

Nelle settimane nei mesi successivi all’arresto l’allora sindaco di Bibbiano Andreea Carletti venne descritto da molti giornali, tv e siti web come la mente di un sistema che strappava i bambini alle famiglie per abusarne e per trarne vantaggi economici. Venne pesantemente calunniato e attaccato da una campagna social. A Carletti la Procura contestava i reati di falso e abuso d’ufficio per alcuni atti amministrativi. Eppure, è diventato “l’orco di Bibbiano” sui media e nei post che l’hanno preso a bersaglio. Quasi sei anni dopo 46 persone sono finite a processo per diffamazione e minacce nei confronti dell’ex sindaco, esponente del partito Democratico. Il processo si celebrerà ad aprile.



1. Nonostante si trattasse di insulti e minacce ben visibili su Facebook le indagini sono durate cinque anni e sono state chiuse solo lo scorso anno. Si avvicinano i tempi della prescrizione. Come mai è stato necessario tutto questo tempo?

2. A condurre le indagini è stata Valentina Salvi, la stessa pm, titolare dell’indagine Angeli e Demoni che ha fatto finire ai domiciliari - e poi a processo – l’ex sindaco Carletti e che ora rappresenterà l’accusa anche contro i suoi odiatori. E’ opportuna la convivenza di questi due ruoli? Il primo , quello della pubblica accusa presuppone psicologicamente una controidentificazione rispetto all’imputato, il secondo richiede invece di identificarsi con le sue ragioni di vittima nei confronti delle persone che l’hanno diffamato. Non c’è il rischio che il primo ruolo prevalga sul secondo?

3. Carletti denunciò circa 200 persone. Tra coloro che non andranno alla sbarra c’è Luigi Di Maio, che pure in qualche modo fece da apripista alle persone che

scrissero post insultanti, minacciosi ed infamanti. Di Maio fra l’altro pubblicò (e poi cancellò) un post con la foto di Carletti in fascia tricolore e la scritta “Arrestato”, alla quale si aggiungeva la frase “Affari con i bimbi tolti ai genitori”. «All’epoca dei fatti - si leggeva nella richiesta di archiviazione della PM Salvi – Di Maio rivestiva la carica di leader politico di un partito, ma anche e soprattutto la carica di vicepresidente del Consiglio nonché ministro delle Politiche sociali e deputato della Repubblica». E questo è sufficiente dunque per non rispondere delle sue affermazioni

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